Le Tecniche ad Evoluzione Assistita
applicate alla viticoltura

Il punto dell’agronomo e divulgatore scientifico Maurizio Gily

Per contrastare malattie e cambiamenti climatici e per salvaguardare
e aumentare la biodiversità


“Le Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA) applicate alla viticoltura”. Questo, uno dei temi
trattati durante il convegno tecnico-scientifico promosso dal Consorzio di tutela vini Colline del
Monferrato Casalese, durante la recente Festa del Vino di Casale Monferrato.
A richiamare l’attenzione del mondo enoico sulle TEA, quale intervento finalizzato a
salvaguardare varietà di vitigni a rischio di malattie e cambiamento climatico, concorrendo,
parallelamente, alla riduzione di fitofarmaci in vigna, è stato l’agronomo e divulgatore scientifico
Maurizio Gily.
Non tecniche OGM, ma di Cisgenesi e di correzione/riscrittura del genoma (Genome editing).
“A differenza dell’OGM, queste nuove tecniche, di cui l’Italia ne detiene il primato per studio e
pubblicazioni scientifiche, cercano di imitare il risultato finale di ciò che in natura può avvenire
spontaneamente” ha spiegato Gily. “In particolare, la Cisgenesi trasferisce geni all’interno delle
stesse specie o tra specie strettamente imparentate tra loro, mentre col Genome editing si interviene andando ad imitare una delle possibili mutazioni in natura, quindi, con la rottura
della catena a doppio filamento del DNA.
Questo processo, in natura può avvenire per effetto di radiazioni ionizzate o ultraviolette, oppure, in presenza di errori di trascrizione e di copiatura del filamento del DNA. In questi casi, la cellula
cerca di riparare da sé la rottura e nel farlo, per errore, produce il cambiamento di alcune basi
azotate”.

Maurizio Gily


Il Dna è composto da geni e ogni gene si compone di circa 14mila basi azotate (la vite conta
circa 35mila geni). Questa piccola rottura, dunque, viene riparata con la sostituzione delle 4 basi
azotate che compongono ciascun gene e quando ciò avviene si ha una mutazione. Ne è un esempio il Pinot grigio divenuto spontaneamente anche bianco: “da punto di vista vivaistico sono due distinte varietà, ma da quello botanico sono la stessa cosa”.
“Per fare questo editing, la tecnica più moderna ricorre alla proteina Cas9, presente/utilizzata
nei batteri per difendersi dai virus, ovvero, per tagliarne il Dna e inattivarli” ha proseguito Gily.
“Quindi si taglia il filamento in un segmento ben preciso e lo si reindirizza esattamente nel
segmento desiderato, utilizzato un filamento di Rna guida, per andare a riscrivere una specifica
porzione di Dna”.
Trattasi di una tecnica già utilizzata con successo nella medicina umana, ma ancora in fase di
studio/sperimentazione in ambito vegetale, per l’ottenimento di piante tolleranti all’oidio e alla
Peronospora.
L’interesse, tuttavia, guarda anche alla sfera climatica, pensando alla riscrittura del genoma con
l’intento di agire sia sui portinnesti, per avere radici più profonde e con maggiore capacità di
penetrazione, sia sulla parte area, per ridurre la disidratazione frutto-fogliare. Agendo su appena 1,
2 o 3 geni si otterrebbero vigneti resistenti, clonati dalla stessa varietà.
“Attivando un gene di resistenza silente o silenziandone uno di suscettibilità attivo, si otterrebbero
grandi risultati” ha sottolineato il divulgatore scientifico. Insomma, le aspettative sono alte.
“Al momento in Italia non è consentita la sperimentazione in campo, ma il Parlamento si è
recentemente espresso a favore per poterla praticare, con la finalità di allineare la normativa ai
progressi della scienza. Le prospettive sono, dunque, positive, anche, in termini di salvaguardia
e aumento della biodiversità”.

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